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TERESANNA SCRIVE IN PAGINA SU PINO DANIELE

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view post Posted on 9/1/2015, 16:28     Top   Dislike
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Napoli si è scordata di Pino Daniele
7 gennaio 2015 by errecinque in blog and tagged Napoli, Napule è, Pino Daniele, terra mia
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(foto di Salvatore Laporta)

Era da un po’ di tempo che pensavo alla mia città. Cioè, alla mia città ci penso sempre, e penso che la amo, e che la odio, e che ci vorrebbe così poco per cambiarla, e che a cambiarla ci vuole così tanto che uno se ci pensa si avvilisce e gli viene voglia di mollare.

Poi ultimamente è uscito un articolo su Napoli, un articolo molto bello intitolato “Napoli non la capisce nessuno” che passava in rassegna i fallimenti grandi e piccoli, le sconfitte piccole e grandi di chi aveva tentato di portare una proposta culturale, politica, sociale che fosse, alternativa, e dopo un po’ se ne era stancato, si era venduto, aveva perso l’entusiasmo.

Quell’articolo mi colpì molto ma, per quanto ne condividessi una serie di spunti, mi lasciò l’amaro in bocca e un sacco di riflessioni.

“Napoli è una scusa per tutti”, pensai.

Napoli è una scusa per quelli che ci stanno e si guardano intorno, si avviliscono e si indignano, si sentono sconfitti, frustrati, delusi. Pure quelli che ci restano volontariamente, soprattutto loro. Vivacchiano, sopravvivono. Portano avanti i propri micropercorsi, ognuno a guardare al proprio orto, e non c’è molta differenza da questo punto di vista se fai “politica, attivismo, militanza” ventiquattr’ore al giorno o se ti sei rotto le palle e non vuoi più saperne, ti trovi un lavoretto e ti affitti ‘na stanza in centro storico.

Napoli è una scusa per quelli che se ne sono andati, perché a Napoli non si può tornare. Perché te ne sei dovuto andare per affermare te stesso, trovare la tua strada, ma ‘sta maledetta ti manca ogni giorno e la odi per questo perché qua non puoi essere felice. E nessuno che ci provi veramente, e nessuno che pensi di caricarsela addosso e capisca che se il posto tuo non ti piace forse il problema sei pure tu, che se poni un problema e non proponi una soluzione sei parte di quel problema.

Napoli è una scusa per quelli che se ne vogliono andare, e non possono. Che campano tutti i giorni pensando che alla prima occasione utile si mettono in viaggio e qua non ci tornano più, che ‘sto posto fa schifo e non si può fare niente, e allora non vogliono restare nel niente e se ne vanno via. Ma poi stanno sempre qua, perché Napoli gli tarpa le ali, non li fa volare via.

Da quando ero piccolissima ho sempre detto e pensato una cosa. Quando mi dicevano tutti – genitori, familiari, professori, amici – di andare via, io dicevo una cosa banalissima e loro mi ridevano in faccia.

“Se ce ne andiamo noi, vincono loro”, dicevo, e per me era la cosa più vera e più facile del mondo.

Poi sono cresciuta, certo, e ho imparato che le cose sono più complicate. Che le opportunità uno a volte deve coglierle a costo di sacrifici, e che nessuno ha il diritto di sindacare, con moralismi di appartenenza di bassa lega, con le decisioni cruciali della vita di un cristiano.

E ho imparato pure che il senso di appartenenza, il legame alle radici, non è un valore assoluto.

E ho imparato pure che siamo talmente piccoli e che l’esperienza del mondo che possiamo fare è talmente ridotta in termini di spazio e tempo, di quantità e qualità, che tutto quello che possiamo, dovremmo arraffarlo.

Ho imparato queste e un sacco di altre cose, però resto attaccata con le unghie e con i denti a questa città, e non ci posso fare niente.

L’amante stronza, già detto, ti tiene legato pure se ti fa male. L’amore non corrisposto della tua città, il male che può farti, la rabbia che può generarti, la voglia che avresti di mandarla a fanculo, l’incapacità di immaginarti senza di lei.

Sono cose che mi porto dentro da una vita, di cui parlo da sempre.

Però leggendo quell’articolo ho pensato che ogni tanto uno l’amante può evitare di immaginarsela sempre e solo come oggetto amato, e guardare a lei come un soggetto. Ho pensato che qua stiamo tutti a contemplarcela, quant’è bella Napoli, e il lungomare, e i panni spasi, e i vicoli dei quartieri, e tutto il resto appresso, che in realtà ci basta.

Ci basta perché, per tutto quello che ci manca, Napoli è la scusa.

Saranno almeno quindici anni che nessuno fa una proposta culturale e politica nuova, radicale per questa città, o che almeno poi resti coerente con la proposta che ha fatto.

Napoli è la scusa che ci diamo per adattarci a sopravvivere a Napoli, che è una cosa diversa dalle elaborazioni romantiche che noi facciamo sul quindicenne che fa il palo per portare i soldi a casa o sul parcheggiatore abusivo che pure tiene i figli. Ma foss’a maronn’ foss’ sul’ chell’.

Qua si adatta a sopravvivere pure chi tiene la panza piena e la vocca ancora più piena, pure noi ci adattiamo a sopravvivere e ci guardiamo spenti mentre ci beviamo lo Spritz di Peppe ogni sera, raccontandoci quante cose belle potremmo e vorremmo e dovremmo fare, ma il blocco di potere, la politica connivente, il malaffare e tutt’o riest’; oppure vorremmo fare gli artisti, ma sto posto è provinciale, è difficile sfondare, è difficile non vendersi ma non ci vendiamo, piuttosto restiamo a berci gli Spritz.

E noi ci beviamo gli Spritz, e niente cambia e Napoli resta là, ferma, oggetto d’amore che ci contempliamo ma che non tocchiamo.

Perchè alla fine nessuno di noi mette mano a Napoli. Facciamo tanti di quei castelli in aria, che ci dimentichiamo di quanto siano facili le cose.

Pensavo a tutte queste cose, e poi è morto Pino Daniele.

E mi sono fatta tre giorni a piangerlo, ma proprio veramente, e tutti quelli che erano intorno a me hanno fatto lo stesso. Tutti quanti proprio, nessuno escluso.

E lo piangevo e mi dicevo: “Ma perché lo sto piangendo?” E lo ascoltavo e piangevo, e mi dicevo che lo sapevo troppo bene perché ce lo stavamo piangendo.

La prendo un po’ alla larga, che è difficile dare parole a questa cosa.

Io a “Napule è” ho sempre preferito “Terra mia”. Da sempre mi sono fatta i peggiori pianti ascoltandola. E la preferivo a quella che i napoletani hanno eletto un po’ a loro manifesto perché cominciava con il negativo.

“Comm’è triste e comm’è amaro sta assettato a guarda’ tutt’e cose e tutt’è parole che niente ponn’ fa’”.

Cominciava col ricordarci che quando guardi a qualcuno che ami che si sta buttando via, senti solo tristezza e amarezza. E le senti prima dell’amore. Prima di vedere i mille culuri.

Io penso di aver capito perchè Napoli si sta piangendo così tanto Pino Daniele, e perchè si è pianta tanto Troisi. Perchè loro hanno guardato l’amata in faccia e le hanno detto: “Stai sbagliando tutto”.

Sì, va bene, le contraddizioni. Sì, va bene, la storia. Sì, va bene tutto. Ma puos stu mandolino, iett sta pizza int’o cess e vir e te movere.

E questo lo puoi dire a qualcuno solo se lo ami veramente. Il resto è corteggiamento, attrazione, flirt. Se ami qualcuno non gli perdoni niente, e loro non hanno mai perdonato niente a Napoli.

Hanno avuto il coraggio di condannarla, di non farsi sfuggire niente. E ne avevano tutto il diritto.

E non è vero che Pino Daniele si è scordato di Napoli, ho pensato pure. È Napoli che si è scordata di Pino Daniele.

Napoli piatta, spenta. Napoli senza più voglia, pigra, indolente. Napoli che non ci prova manco più seriamente. Napoli che usa se stessa come scusa per restare tutto il giorno a letto a commiserarsi. Napoli vittimista che la storia ci ha bistrattato, e Napoli vittima che tutta Italia ci odia. Napoli che però non si sveglia se non per offendersi. Ci offendiamo sempre, non ci riscattiamo mai.

Siamo sempre pronti a riconoscere quanto ci è stato tolto, e non ci sprechiamo mai a pensare a quanto potremmo fare. Siamo la scusa di noi stessi. E siamo stati cazzo di rispolverare i Borbone pur di non immaginarci un progetto politico serio e radicale per questa città. I Borbone: non voglio manco commentare.

La verità è che ci bastiamo, e per questo siamo noi che ci siamo scordati di Pino Daniele. E probabilmente pure per questo s’e cacat o cazz e se n’è andato in Toscana, a Roma, sulla Luna. Dove cazzo gli pare. Che ci stai a fare qua se passi la vita a dire certe cose e poi muori e il tuo funerale lo celebra uno come Sepe? Che ci stai a fare qua, se tanto tutti sono d’accordo con te ma poi tutti si autoassolvono, e basta ca ce sta o sole, basta ca ce sta o mare?

A me il sole e il mare non mi bastano più.

E l’articolo diceva una cosa: che qua la gente è abituata a vedere tramontare tutti i miti cui si affeziona. Però Pino Daniele ne diceva un’altra, da napoletano vero e da intelligenza fine quale era: “È muorto o rrè, evviva o rrè, è muorto o rrè, evviva o rrè”. Perchè noi questo facciamo. Guardiamo i miti sfatare, guardiamo i re morire ma mentre ce li piangiamo poi arrivano i nuovi re, e siamo pronti a esaltarli e a volergli bene. Basta che siano loro a nascere e morire. Noi siamo il pubblico.

E allora non lo so, ma voglio pensare che tutta Napoli si sia pianta Pino Daniele, a prescindere dal fatto che sia stato la colonna sonora della vita di tutti e di tutta la galassia di ricordi legati a ogni singola canzone, perché si è resa conto che se lo era scordato.

Stavamo là tutti quanti in quella Piazza del Plebiscito gremita, e saremo stati duecentomila, e non volava una mosca. Stavamo tutti là, attoniti, sospesi. con gli occhi lucidi e ci guardavamo intorno spaesati. E non ci stavano sconosciuti. Ci sorridevamo timidi, ci si abbracciava, ci si guardava tristi e non ci stavano madri e padri, non ci stavano figli e fratelli, non ci stavano vecchi e giovani, non ci stavano cuozzi e punkabbestia. Eravamo tutti là tutti uguali, eravamo tutti quel silenzio perché ci eravamo resi conto, in qualche modo, che ci eravamo scordati quale era la nostra voce e ce ne siamo ricordati mo che non ci sta più. E ce ne siamo accorti al punto tale che a prescindere dalle lezioni di napoletanità, di dignità, di gestione del dolore e di elaborazione del lutto, abbiamo gestito questo enorme rito di catarsi collettiva con una dignità che è disarmante. Che sarebbe troppo bello se la tenessimo pure domani, dopodomani, tra una settimana. Che non ce la scordiamo più.

Il resto è storia, pure se dolorosa.

Cantare tutti insieme, con le lacrime agli occhi e le voci tremanti.

E la piazza che si svuota lentamente, mentre comincia a piovere.

Tanto l’aria s’adda cagna’.

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