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[NEWS / ITALIA]La Coppa del Mondo? «È come una donna. Ed è italiana» Dal 1970 il trofeo che viene consegnato ogni quattro anni è prodotto in un'azienda alle porte di Milano. E quell'azienda è amministrata proprio da una donna, Valentina Losa
Il profumo della vittoria: se uno dovesse immaginarselo probabilmente non lo assocerebbe mai a quello di una fabbrica che fonde ottone alle porte di Milano. Eppure è proprio qui che nasce il trofeo più desiderato, la Coppa del Mondo Fifa.
Siamo a Paderno Dugnano, nell'azienda G.d.e. Bertoni e ad accoglierci c'è il sorriso di Valentina Losa, amministratore unico nonché nipote di quell'Eugenio Losa, che fu padre fondatore. Qui è stata creata la coppa dorata e proprio qui torna dopo ogni Mondiale per essere ritoccata, sistemata, ristrutturata, insomma, coccolata. Ma facciamo un po' di ordine.
Era il 1970 e in Messico la nazionale del Brasile saliva sul tetto del mondo per la terza volta aggiudicandosi definitivamente la Coppa Jules Rimet. Sprovvista di un trofeo da assegnare per la successiva manifestazione, la Fifa indisse un concorso per creare la nuova Coppa del Mondo ed è proprio a questo punto della Storia che si innesta la nostra storia: fu la ditta Bertoni di Paderno Dugnano a spuntarla nel 1972, grazie al disegno dello scultore italiano Silvio Gazzaniga.
36,8 cm di altezza con un diametro della base pari a 13 cm e un peso complessivo di 6,2 chili, la Coppa del Mondo è in oro massiccio a 18 carati e al di sotto del basamento sono incisi i nomi delle nazionali che dal 1974 si sono aggiudicate il trofeo per un totale ad oggi di 10 mondiali disputati. C'è spazio ancora per altre 7 incisioni.
Nata agli inizi del '900, la G.d.e. Bertoni è chiamata a produrre una copia, quella che poi viene consegnata alla squadra vincitrice del Mondiale, questa in ottone ricoperta d'oro e un po' più leggera, ma per il resto identica all'originale.
«La coppa è come una donna», spiega Valentina, amministratore della società. «È amata, desiderata e viaggiatrice. Ogni quattro anni fa molti chilometri per arrivare dove si svolge il mondiale anche se poi, alla fine, torna sempre qui per rifarsi il look».
Pensava di fare questo lavoro? «Ho fatto di tutto per andare contro il volere di mio padre di studiare economia e prendere in mano l'azienda. Però con la seconda figlia mi sono accorta che stare qui mi dava maggiore elasticità di orari, poi mio padre si è ammalato e quando sono entrata in azienda si è aggravato per poi lasciarci in pochi mesi. Mi sono sentita di portare avanti il suo lavoro».
È appassionata di calcio? «Sì, per forza. Sono un'appassionata silente perché ho un marito juventino e io sono milanista, quindi in casa preferisco non prodigarmi in commenti tecnici».
Che emozione è vedere in mondo visione una vostre creazione alzarsi verso il cielo? «Un'apprensione unica! Tutte le volte che vedo una premiazione non me la godo, mando sempre indietro per vedere se la coppa è tenuta ben dritta, mi agito se c'è qualche oscillazione di troppo. E vogliamo parlare dei nastri delle medaglie, quando magari si arrotolano un po' e quindi si vede il retro? Non lo posso sopportare. Insomma, il momento della premiazione per me è una sofferenza unica».
Un augurio per gli azzurri? «Riportatemi a casa la Coppa!».
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