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La fantastica storia di Monica Contrafatto: la bomba in Afghanistan, la gamba amputata e quel sogno

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view post Posted on 20/9/2016, 13:30     Top   Dislike
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Ma si che grande idea VIAREGGIO inventa l'allegria

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fonte : www.sportfair.it


Quattro anni fa ha visto la morte con gli occhi Monica Contrafatto, siciliana di Gela, Caporale Maggiore dell’Esercito – Primo Reggimento Bersaglieri: aveva appena 31 anni quando, a marzo del 2012, si trovava in Afghanistan per la sua seconda missione. “La mia più grande passione. Siamo là per aiutare, l’ultima cosa che usiamo sono le armi. Gli abitanti ci hanno salvato la vita in certe situazioni. Ho negli occhi quei bimbi meravigliosi. Gli dai una boccetta d’acqua e sembra gli regali il mondo. Nel sorriso che ti fanno è dentro il loro cuore“. Ma quel giorno la base italiana fu attaccata e le schegge di una bomba colpirono Monica a una gamba, all’arteria femorale, all’intestino e a una mano. La gamba destra è stata amputata, l’arteria femorale cambiata con la vena safena, l’intestino tolto per mezzo metro, per la mano è stato utilizzato un osso della gamba. In mezzo anche un’embolia polmonare. Il sergente Michele Silvestri, vicino a lei all’avamposto Ice, è morto per quei colpi di mortaio, lasciando moglie e un figlio di otto anni.

Dopo pochi mesi, Monica era ancora in ospedale a fare riabilitazione, a imparare a convivere con le protesi, a guardare la sua vita futura con una sola gamba reale e un’altra da montare e smontare in base alle esigenze. In una di quelle sere in ospedale Monica guardava la TV e si incantava di fronte all’impresa di Martina Caironi, che alle Paralimpiadi di Londra vinceva i 100 metri con una gamba sola. “Lì ho iniziato a sognare, volevo diventare come lei, magari batterla“. Ha iniziato a correre, le due sono diventate amiche e ieri sera a Rio de Janeiro Monica ha vinto il Bronzo su un podio tutto italiano, con il bis d’oro di Martina. Bellissima la sua esultanza dopo il traguardo. “Mi sembra un sogno essere qui, ancora non ci credo – confessa la Contrafatto – bellissimo vincere insieme a Martina, sembra un film“.

Un film che è diventato realtà, grazie soltanto alla sua grande forza di volontà. Emozioni paralimpiche uniche, perchè la vita si nutre proprio di questi sogni e di queste passioni. E per Monica non è certo finita qui…



fonte : http://invisibili.corriere.it

Tutto comincia da un cappello. C’erano i soldati in Sicilia. E c’era quella ragazzina lì, che quando era piccolina mica giocava con le bambole: “Mi immaginavo poliziotta”. Si era in mezzo agli anni ’90 e quell’operazione l’avevano chiamata Vespri Siciliani: l’esercito a mantenere l’ordine pubblico nell’isola. Fra loro i Bersaglieri. “Li vidi e mi innamorai. Ah, il fez…”. E’ uno dei copricapo, quello senza piume, rosso con il cordoncino blu. La scelta di Monica parte da quei giorni a Gela, passa per il Gulistan, provincia di Farah, Afghanistan occidentale, guarda al Brasile e a Rio, ma non per Copacabana o Ipanema. Quella ragazzina quattordicenne è cresciuta. Monica Contrafatto è caporale maggiore scelto dell’esercito. L’arma è facile da indovinare, Primo Reggimento Bersaglieri. Marzo 2012, 31 anni compiuti da poco e seconda missione in Afghanistan. “La mia più grande passione. Siamo là per aiutare, l’ultima cosa che usiamo sono le armi. Gli abitanti ci hanno salvato la vita in certe situazioni”. Compiti pericolosi, campi da sminare, pattuglie per la sicurezza. Era lì da poche settimane. La prima volta, poco più di due anni prima, ci era stata sei mesi. “Ho negli occhi quei bimbi meravigliosi. Gli dai una boccetta d’acqua e sembra gli regali il mondo. Nel sorriso che ti fanno è dentro il loro cuore”. In quella primavera, le sue amiche in Sicilia provavano gli abiti estivi. Per Monica la giornata era cominciata con un pattugliamento. Alla base italiana ci fu un attacco, bombe a pioggia. “Dopo la prima andai d’istinto verso i mezzi, non verso il centro antimortaio”. Fu la seconda a centrarla. “Sì, con qualche problema”. Le schegge colpirono una gamba, l’arteria femorale, l’intestino, una mano. “A pensarci poi non molti danni”. La gamba destra verrà amputata, l’arteria femorale cambiata con la vena safena, l’intestino tolto per mezzo metro, per la mano verrà utilizzato un osso della gamba. In mezzo anche un’embolia polmonare. “Poteva andare peggio”. Vero: il sergente Michele Silvestri, vicino a lei all’avamposto Ice, è morto per quei colpi di mortaio, lasciando moglie e un figlio di otto anni. E’ fra i 53 morti nelle missioni in Afghanistan dal 2004. L’ultimo, un bersagliere come Monica: Giuseppe La Rosa aveva 31 anni, siciliano anche lui, era nella stessa regione afghana, nel giugno 2013 il Lince dove era saltò in aria per una bomba lanciata pare da un ragazzino undicenne. Monica, la cui storia è fra quelle del docufilm Reduci, pensa a loro e sa della fortuna. “Venni investita dalla onda d’urto dell’esplosione, tutto divenne grigio, non sentii male, nessun dolore, ma vidi il sangue. Tanto”. Fu il collega Salvatore De Luca a evitarle la morte, portandola lontano. “Subito dopo arrivò un altro colpo e mi avrebbe uccisa”. Sul finire dell’estate, Monica è in ospedale. Sta facendo riabilitazione, sono passati quasi sei mesi da quando fu operata in Afghanistan. “Andavo in giro con la carrozzina e suonavo una trombetta. Sono un po’ fuori di testa. Ho trasformato quella che è una mancanza in una forza”. Una sera, davanti alla tv, una folgorazione: “Trasmettevano le gare della Paralimpiade di Londra”. Sono stati i Giochi per atleti con disabilità più belli di sempre. “Non sapevo cosa fossero. Mi fermai a guardare. E in quei giorni non feci altro: le corse con amputati, Oscar Pistorius, ciechi che giocavano a calcio, un cinese senza braccia che vinse nel nuoto. Mi si aprì un mondo. C’erano gli atleti e non la disabilità”. Vide correre i 100 metri e vincere l’oro, davanti a 80 mila persone che l’osannavano, una giovane di Bergamo, Martina Caironi, amputata come lei a una gamba appena sopra il ginocchio. “E’ il mio punto di riferimento. Mi dissi: ci devo andare anche io”. Monica che non sa di Melissa. Lei ci è arrivata. Melissa Stockwell, prima militare statunitense amputata a una gamba in missione, in Iraq nel 2004, è diventata anche la prima veterana scelta per una Paralimpiade, a Pechino nel nuoto, e ha portato la bandiera Usa alla Chiusura dei Giochi: “Mai stata così orgogliosa”. Lo scorso novembre è diventata Iron(wo)man, titolo che spetta a chi conclude il più difficile dei triathlon (3,8 km a nuoto nell’oceano, 180 km in bicicletta e una maratona per chiudere). Ritorno a casa. Monica cerca Martina. “Mi aiuti per le protesi?” E poi: “Come faccio per correre come te?” La Caironi, a poco più di vent’anni, è la più grande sprinter amputata del mondo: “Sei a Roma? Parla con Nadia Checchini”. E’ una delle allenatrici della Nazionale di atletica paralimpica. E’ lei a seguirla, mostrare come e cosa fare. Il resto è storia di oggi. Da un paio di mesi ha cominciato a utilizzare le protesi da corsa ed è brava. Intanto nuota. Allenamenti tutti i giorni, in particolare al Centro Sportivo dell’Esercito, prima dell’ufficio. Le Forze Armate sostengono l’attività sportiva fra i militari diventati disabili in servizio. Da poche settimane è stato siglato un accordo fra Ministero della Difesa e Comitato Paralimpico, il cui presidente, Luca Pancalli, ha sempre sostenuto anche l’introduzione di atleti paralimpici nei corpi sportivi militari. Il ministro della Difesa Mauro lo ha sottolineato: “Grazie allo sport, il sogno di questi ragazzi non si è infranto per le ferite in Afghanistan o Somalia”. Il sogno per Monica è un obiettivo: Rio2016. “Voglio diventare un’atleta con le stellette e vincere una medaglia alla Paralimpiade. Per il mio Paese”. Non è il solo. Ce n’è un altro, che non dipende da lei: “Ho lasciato il mio lavoro a metà. A costo di perdere pure l’altra gamba, voglio tornare là, in Afghanistan. Ad aiutare per costruire la pace”. Monica Contrafatto in Afghanistan Tag: Afghanistan, amputazione, bersaglieri, Cip, Comitato Paralimpico Italiano, Londra 2012, Luca Pancalli, Martina Caironi, Melissa Stockwell, militare, Ministero della Difesa, Monica Contrafatto, Paralimpiade, protesi, Reduci ] minore, nella cronaca, perché disabili o divenute tali, e poi dimenticate. Ecco le loro storie recuperate, grazie anche alle vostre segnalazioni. Dopo Eleonora, quella di Monica, fra l’Afghanistan e una pista di atletica.

Tutto comincia da un cappello. C’erano i soldati in Sicilia. E c’era quella ragazzina lì, che quando era piccolina mica giocava con le bambole: “Mi immaginavo poliziotta”. Si era in mezzo agli anni ’90 e quell’operazione l’avevano chiamata Vespri Siciliani: l’esercito a mantenere l’ordine pubblico nell’isola. Fra loro i Bersaglieri. “Li vidi e mi innamorai. Ah, il fez…”. E’ uno dei copricapo, quello senza piume, rosso con il cordoncino blu. La scelta di Monica parte da quei giorni a Gela, passa per il Gulistan, provincia di Farah, Afghanistan occidentale, guarda al Brasile e a Rio, ma non per Copacabana o Ipanema.

Quella ragazzina quattordicenne è cresciuta. Monica Contrafatto è caporale maggiore scelto dell’esercito. L’arma è facile da indovinare, Primo Reggimento Bersaglieri. Marzo 2012, 31 anni compiuti da poco e seconda missione in Afghanistan. “La mia più grande passione. Siamo là per aiutare, l’ultima cosa che usiamo sono le armi. Gli abitanti ci hanno salvato la vita in certe situazioni”. Compiti pericolosi, campi da sminare, pattuglie per la sicurezza. Era lì da poche settimane. La prima volta, poco più di due anni prima, ci era stata sei mesi. “Ho negli occhi quei bimbi meravigliosi. Gli dai una boccetta d’acqua e sembra gli regali il mondo. Nel sorriso che ti fanno è dentro il loro cuore”.

In quella primavera, le sue amiche in Sicilia provavano gli abiti estivi. Per Monica la giornata era cominciata con un pattugliamento. Alla base italiana ci fu un attacco, bombe a pioggia. “Dopo la prima andai d’istinto verso i mezzi, non verso il centro antimortaio”. Fu la seconda a centrarla. “Sì, con qualche problema”. Le schegge colpirono una gamba, l’arteria femorale, l’intestino, una mano. “A pensarci poi non molti danni”. La gamba destra verrà amputata, l’arteria femorale cambiata con la vena safena, l’intestino tolto per mezzo metro, per la mano verrà utilizzato un osso della gamba. In mezzo anche un’embolia polmonare. “Poteva andare peggio”. Vero: il sergente Michele Silvestri, vicino a lei all’avamposto Ice, è morto per quei colpi di mortaio, lasciando moglie e un figlio di otto anni. E’ fra i 53 morti nelle missioni in Afghanistan dal 2004. L’ultimo, un bersagliere come Monica: Giuseppe La Rosa aveva 31 anni, siciliano anche lui, era nella stessa regione afghana, nel giugno 2013 il Lince dove era saltò in aria per una bomba lanciata pare da un ragazzino undicenne. Monica, la cui storia è fra quelle del docufilm Reduci, pensa a loro e sa della fortuna. “Venni investita dalla onda d’urto dell’esplosione, tutto divenne grigio, non sentii male, nessun dolore, ma vidi il sangue. Tanto”. Fu il collega Salvatore De Luca a evitarle la morte, portandola lontano. “Subito dopo arrivò un altro colpo e mi avrebbe uccisa”.

Sul finire dell’estate, Monica è in ospedale. Sta facendo riabilitazione, sono passati quasi sei mesi da quando fu operata in Afghanistan. “Andavo in giro con la carrozzina e suonavo una trombetta. Sono un po’ fuori di testa. Ho trasformato quella che è una mancanza in una forza”. Una sera, davanti alla tv, una folgorazione: “Trasmettevano le gare della Paralimpiade di Londra”. Sono stati i Giochi per atleti con disabilità più belli di sempre. “Non sapevo cosa fossero. Mi fermai a guardare. E in quei giorni non feci altro: le corse con amputati, Oscar Pistorius, ciechi che giocavano a calcio, un cinese senza braccia che vinse nel nuoto. Mi si aprì un mondo. C’erano gli atleti e non la disabilità”. Vide correre i 100 metri e vincere l’oro, davanti a 80 mila persone che l’osannavano, una giovane di Bergamo, Martina Caironi, amputata come lei a una gamba appena sopra il ginocchio. “E’ il mio punto di riferimento. Mi dissi: ci devo andare anche io”.

Monica che non sa di Melissa. Lei ci è arrivata. Melissa Stockwell, prima militare statunitense amputata a una gamba in missione, in Iraq nel 2004, è diventata anche la prima veterana scelta per una Paralimpiade, a Pechino nel nuoto, e ha portato la bandiera Usa alla Chiusura dei Giochi: “Mai stata così orgogliosa”. Lo scorso novembre è diventata Iron(wo)man, titolo che spetta a chi conclude il più difficile dei triathlon (3,8 km a nuoto nell’oceano, 180 km in bicicletta e una maratona per chiudere).

Ritorno a casa. Monica cerca Martina. “Mi aiuti per le protesi?” E poi: “Come faccio per correre come te?” La Caironi, a poco più di vent’anni, è la più grande sprinter amputata del mondo: “Sei a Roma? Parla con Nadia Checchini”. E’ una delle allenatrici della Nazionale di atletica paralimpica. E’ lei a seguirla, mostrare come e cosa fare. Il resto è storia di oggi. Da un paio di mesi ha cominciato a utilizzare le protesi da corsa ed è brava. Intanto nuota. Allenamenti tutti i giorni, in particolare al Centro Sportivo dell’Esercito, prima dell’ufficio. Le Forze Armate sostengono l’attività sportiva fra i militari diventati disabili in servizio. Da poche settimane è stato siglato un accordo fra Ministero della Difesa e Comitato Paralimpico, il cui presidente, Luca Pancalli, ha sempre sostenuto anche l’introduzione di atleti paralimpici nei corpi sportivi militari. Il ministro della Difesa Mauro lo ha sottolineato: “Grazie allo sport, il sogno di questi ragazzi non si è infranto per le ferite in Afghanistan o Somalia”.

Il sogno per Monica è un obiettivo: Rio2016. “Voglio diventare un’atleta con le stellette e vincere una medaglia alla Paralimpiade. Per il mio Paese”. Non è il solo. Ce n’è un altro, che non dipende da lei: “Ho lasciato il mio lavoro a metà. A costo di perdere pure l’altra gamba, voglio tornare là, in Afghanistan. Ad aiutare per costruire la pace”.







 
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